Quando il paziente diventa pericoloso per il medico che lo cura

Fra il paziente e il suo psicoterapeuta si stabilisce un rapporto unico basato sulla fiducia reciproca.
Ciò fa si che il paziente si apra e riveli le emozioni, i sentimenti e le pulsioni che albergano nel profondo del suo animo. Ma tale relazione può essere inficiata negativamente dagli effetti destabilizzanti della colpa persecutoria al punto da instaurare una vera e propria dinamica omicida.    

M.D. Medicinae Doctor – Anno XX numero 14 – 25 novembre 2013

Le ultime notizie di cronaca mi  hanno spinto a rivedere la dinamica a volte omicida che si viene a creare nel rapporto tra terapeuta e paziente. Per poter entrare nel merito di un argomento così complesso, è necessario partire dal concetto di colpa persecutoria. Tale colpa ha la sua apparizione sin dai primi istanti di vita e può essere ulteriormente aggravata dal trauma della nascita di cui parla Otto Rank[1] e dalla fase schizo-paranoide che vive il neonato durante tutto il periodo di allattamento materno, descritta molto bene da M. Klein[2]. La colpa persecutoria si caratterizza quindi per la sua precoce apparizione e si trova sotto il primato di Thanatos (istinto di morte). Gli individui in cui questo tipo di colpa è predominante hanno tendenze autopunitive che possono spingerli a provocarsi delle vere mutilazioni se non addirittura il suicidio, come avviene in alcuni gravi casi di melanconia. D’altro canto, M. Klein ha sottolineato che una delle difese primordiali contro l’istinto di morte è quella della proiezione all’esterno delle pulsioni distruttive su un oggetto. Purtroppo, ciò fa si che l’oggetto (spesso una persona) diventi un persecutore per eccellenza. Inoltre, il fatto di aver usato l’oggetto come serbatoio per depositarvi l’istinto di morte provoca un ulteriore aggravamento della colpa persecutoria sia per l’uso strumentale fatto dell’oggetto e sia perché, esso, minaccia poi la rappresaglia. La colpa persecutoria raggiunge la sua massima espressione negli stadi più regressivi, quando l’istinto di morte opera con la massima intensità. In questi casi, l’angoscia e la persecuzione sono vissute molto intensamente nelle esperienze di perdita e frustrazione a causa di fantasie inconsce ad esse correlate. Poiché tale colpa investe l’Io con grande forza, questo sente la necessità di ricorrere alle difese più primitive come la scissione, l’onnipotenza, l’idealizzazione e la negazione.

Meccanismi di difesa

Con la scissione, non solo si tende a separare l’oggetto pericoloso da quello vissuto come idealmente buono, ma si cerca di mettere da parte l’oggetto nei confronti del quale si è vissuta la colpa e da cui si teme rappresaglia e persecuzione. Questo meccanismo è usato anche per isolare parte del Sé responsabile della perdita che scatena la colpa persecutoria. Può accadere per esempio che determinate funzioni dell’Io siano disapprovate, annullate ed escluse dal campo della coscienza perché ritenute colpevoli. Leon Grimberg[3] racconta di uno studente che sviluppò un’inibizione intellettuale acuta poco tempo dopo la morte del padre, perché nella sua fantasia inconscia si sentiva colpevole di averlo ucciso col suo successo. Egli commenta dicendo che in questi casi la situazione si aggrava perché alla colpa nei confronti dell’oggetto si somma la colpa persecutoria nei confronti di quella parte del Sé che fu bloccata e impedita di funzionare ed aggiunge che quando la situazione è vissuta in forma troppo Fra il paziente e il suo psicoterapeuta si stabilisce un rapporto unico basato sulla fi ducia reciproca. Ciò fa si che il paziente si apra e riveli le emozioni, i sentimenti e le pulsioni che albergano nel profondo del suo animo. Ma tale relazione può essere inficiata negativamente dagli effetti destabilizzanti della colpa persecutoria al punto da instaurare una vera e propria dinamica omicida angosciosa, si ricorre ad una scissione estrema che conduce ad un quadro psicotico, schizofrenico. Sembrerebbe che in questi casi l’Io si sia rassegnato a pagare un prezzo molto alto, dovuto alla propria frammentazione come conseguenza dell’intensità della colpa persecutoria vissuta.

L’identificazione proiettiva

In alternativa alla frammentazione o come rafforzamento di questa può seguire l’identificazione proiettiva, attraverso cui l’Io cerca di liberarsi delle parti di sé legate alla colpa persecutoria, proiettandoli su un oggetto esterno. In tal modo le parti perdute del proprio Sé possono essere vissute come parti adirate e persecutorie che difficilmente potranno integrarsi con il resto del Sé a causa della minaccia che nascondono. Inoltre l’Io può risentirsi contro di esse per essersi sentito abbandonato. Alla fi ne, si finisce col provare timore dell’oggetto su cui sono state proiettate queste parti, sia per il suo risentimento sia per il fatto che l’oggetto è stato investito inconsciamente dal proprio risentimento. Quanto maggiore sarà il risentimento, tanto maggiore sarà la colpa e la persecuzione e più difficile sarà l’elaborazione del lutto. Nella misura in cui diminuisce il risentimento e quindi la colpa persecutoria, aumenteranno la pena e il dolore per la perdita, che assumono una connotazione più depressiva e si ha anche un aumento della preoccupazione e della responsabilità e, in ultima istanza, della capacità riparatoria. Altri atteggiamenti difensivi adottati dal soggetto per sfuggire alla colpa persecutoria, sono la negazione e l’onnipotenza e l’idealizzazione. Ad esempio, attraverso l’idealizzazione, l’Io cerca di rivestire l’oggetto di qualità straordinarie, quasi a convincersi che non ha potuto danneggiarlo, sicché non ha motivo di sentirsi in colpa e, al tempo stesso, si assicura che per la sua bontà l’oggetto non lo perseguiterà.

La colpa persecutoria

Fra il paziente e il suo psicoterapeuta si stabilisce un rapporto unico basato sulla fiducia reciproca. Ciò fa sì che il paziente si apra e riveli le emozioni, i sentimenti e le pulsioni che albergano nel profondo del suo animo. Ma tale rapporto è disturbato dai meccanismi di cui abbiamo parlato, in particolar modo dagli effetti destabilizzanti della colpa persecutoria. Quando il paziente ha proiettato sul suo terapeuta parti del sé vissute come aggressive e pericolose, teme che gli si possano riversare contro e quando per un motivo qualsiasi, come la difficoltà per sovraffollamento o per ferie vengono distanziati i colloqui, nella mente del soggetto malato incominciano a sorgere i dubbi che potrebbero riguardare, ad esempio, il segreto professione del suo terapeuta. Più tempo passa e più questi dubbi si acuiscono, per cui soggetti gravemente disturbati che hanno effettuato massicce identificazioni proiettive accompagnate da proiezione delle parti del Sé sentite come pericolose, cominciano a temere che il terapeuta possa diventare un persecutore (visto che fra le massicce proiezioni delle parti del sé effettuate sull’oggetto esterno – il terapeuta – vi è sempre anche quella di un Super Io tirannico introiettato che tiranneggia il paziente minacciandolo di continuo di punizioni). Se questi sospetti si intensificano, questi pazienti gravemente disturbati potrebbero temere, per esempio, che il loro terapeuta possa rivelare i loro segreti facendoli internare in un manicomio criminale o arrestare e pur di liberarsi di questo sospetto opprimente, a volte, potrebbero anche arrivare al punto di commettere un omicidio. Dall’analisi esposta, si evince la necessità da parte di pazienti gravemente disturbati, di una personale e pericolosa tendenza alla “reattività difensiva”. Nella mente del neuropatico si può formare l’idea che le “confessioni” fatte nel momento del colloquio col terapeuta siano un’abbondante e pericolosa raccolta di prove con “postumi” legali e/o implicativi, penalmente rilevanti nei suoi riguardi. Nella sua mente prende spazio il pensiero della necessità di reprimere sul nascere ciò che considera una grave minaccia per se stesso, anche con la soppressione del professionista che l’ha in cura. Da qui, a mio modo di vedere, la necessità di creare, da parte del professionista, un suo archivio dedicato, in cui inserire i dati completi di questi soggetti e, nei giorni fissati per le sedute, dare uno sguardo attento nella sala d’aspetto, per individuare eventuali gravi e immanenti segnali di pericolosità reale di tali soggetti, prendendo, se necessario, opportuni provvedimenti. È indispensabile non dare a questi soggetti l’impressione dell’abbandono o, peggio, del rifiuto. Perciò se dovesse coincidere un eventuale loro appuntamento con un periodo di assenza del terapeuta per ferie o altri impegni, risulterebbe più consono programmare diversamente le sedute. Va prestata attenzione ad ogni loro gesto e reazione verbale e corporea.


http://www.passonieditore.it/md.html

[1] Rank O. Il trauma della nascita. Ed. SugarCo, 1994, Milano

[2] L’attuazione della colpa persecutoria è molto connessa

ai meccanismi della posizione schizo-paranoide di cui parla

La Klein nei sui scritti (Scritti di Melanie Klein 1921-1958.

Ed. Bollati Boringhieri, 2006, Torino)

[3] Grimberg L. Colpa e depressione. Ed. Il Formichiere, 1971, Milano

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